Sappiamo che questo è un tema delicato che si presta a molteplici letture ed anche a strumentalizzazioni. Da un lato le organizzazioni umanitarie più o meno confessionali, ma anche politiche, internazionaliste di sinistra o liberiste e globaliste padronali ben contente di poter sfruttare manodopera a basso costo. Dall’altro i partiti e i movimenti populisti e nazionalisti che cercano consenso a buon mercato strumentalizzando i legittimi timori della gente. D’altra parte l’argomento è troppo importante per essere accantonato, se non altro per il peso che produrrà nei futuri equilibri politici interni e nell’assetto istituzionale del continente europeo.
Infatti la materia è dibattuta tra gli studiosi. Storici, politologi, sociologi, demografi: tutti prendono posizione e avanzano le loro teorie. Tra le nostre prime riflessioni avevamo citato lo storico scozzese Niall Ferguson perché anni fa aveva previsto il referendum sulla Brexit ed anche l’esito; così come aveva previsto l’affermarsi della schiacciante supremazia tedesca sulle deboli economie dell’Europa mediterranea. Stavolta torniamo a citarlo per il parallelo che ha richiamato tra la caduta dell’Impero romano e quella prossima dell’Occidente contemporaneo. Ferguson parla di due vulnerabilità che hanno colpito l’Occidente, in particolare europeo. Innanzi tutto la globalizzazione che, se da un lato ha ridotto la povertà complessiva della terra, dall’altro ha visto seriamente impoverirsi le economie occidentali al punto che in questo processo sono da considerarsi la parte sconfitta. La seconda vulnerabilità riguarda la politica estera dell’Europa di cui il problema dei migranti è una delle conseguenze più appariscenti.
“Il Vecchio continente – afferma Ferguson – ha scelto una politica estera non interventista e ossessionata dai precedenti storici, come la guerra americana in Iraq. Risultato? Oggi il mancato intervento militare in Siria sta causando un numero maggiore di morti e conseguenze peggiori in termini di spostamento forzato di milioni di persone di quanto non abbia fatto la guerra in Iraq. Dopodiché la stessa Europa ha rifiutato ogni ipotesi di stabilizzazione dei regimi a essa confinanti, ha lasciato che il Nordafrica e il medio oriente andassero in malora, salvo poi dirsi pronta ad accogliere tutti quelli che fossero fuggiti, senza che per loro ci fosse nemmeno la garanzia di un lavoro e di una vera integrazione. E senza curarsi di un piccolo precedente storico: la mancata assimilazione di numeri molto inferiori di immigrati e rifugiati che erano arrivati negli anni 90. Insomma, l’èra Merkel sarà ricordata come un terribile disastro da questo punto di vista”.
L’Europa ha saputo fare persino peggio della politica esitante e imbelle di Obama. Come dare torto a Ferguson? Aver lasciato che l’area mediorientale si destabilizzasse non solo renderà molto più costoso e pericoloso ogni intervento futuro in quei territori, a un tiro di schioppo da casa nostra, ma ha causato a milioni l’esodo della popolazione siriana che comprensibilmente cerca di fuggire da quell’inferno. E come definire l’intervento di Sarkozy e Cameron in Libia che, per sottrarre i contratti petroliferi all’Italia, sono andati a bombardare allegramente quel Paese senza poi preoccuparsi di stabilizzarlo? Possiamo dire tutto di Gheddafi tranne che non sapesse tenere sotto controllo la galassia etnicamente e ideologicamente polverizzata della sua gente. E così si è aperto il flusso incontrollato della popolazione subsahariana verso l’Italia. E il colmo è adesso che la Francia ha chiuso le sue frontiere per fermare da noi quell’esodo proprio da lei causato. Adesso l’Europa già divisa su tutto si trova a litigare sulla questione delle quote di migranti da distribuire che si preannuncia ulteriormente destabilizzante sulla coesione dell’Unione.
Altrettanto delicato è il discorso sull’integrazione di queste persone. Gli italiani sono combattuti tra il desiderio di accogliere questi migranti che, occorre ricordare, sono in gran parte economici e solo in piccola parte fuggono da situazioni di conflitto, e il desiderio di proteggersi da una situazione che rischia di farsi socialmente destabilizzante. Teoricamente tutto il continente africano potrebbe riversarsi in Italia, data la situazione di miseria che lì esiste anche per colpa degli occidentali che hanno sfruttato quelle terre e quelle popolazioni. Il timore non è teorico. Se non siamo in grado di integrare socialmente i nostri giovani come possiamo consentirci d’integrare un flusso sempre più imponente d’immigrati? Non solo i clandestini ma anche coloro che sono in regola con i documenti. Basta visitare i servizi sociali delle nostre grandi città per osservare quanti stranieri vi si recano per chiedere l’assistenza economica erogata dai comuni agl’indigenti. Sono ormai ben più degli italiani. Questi sussidi, occorre ricordare, si ricavano dai tributi che pesano sulla popolazione locale. Per non parlare di tutti coloro che non trovando sbocchi accettano di delinquere quando non giungono da noi deliberatamente con questo fine. Poi non bisogna stupirsi quando le forze populiste cavalcano lo sgomento che coglie i telespettatori nell’ascoltare quei fatti efferati di cronaca, che colpiscono spesso i più deboli (anziani, disabili, donne sole), soprattutto nei piccoli centri.
Ma Ferguson fa notare un altro elemento che viene spesso sottovalutato nel nome di un malinteso multiculturalismo. Egli porta innanzi tutto l’esempio del proprio Paese, il Regno Unito, dove in passato si era aperto al flusso di immigranti senza stipulare con loro “una sorta di patto per l’assimilazione ad alcuni valori fondanti delle nostre democrazie”. Ma il discorso vale per tutta l’Europa. E qui egli porta l’esempio del crollo dell’Impero romano che avvenne “nel giro di una generazione appena”, quando un gran numero di popolazioni straniere poterono entrare in un territorio confuso e inerme non sempre con l’intento di integrarsi con le popolazioni locali. “Quello che sta distruggendo l’Europa – prosegue Ferguson – è un processo simile, sebbene pochi di noi siano pronti a riconoscerlo. Come l’Impero romano all’inizio del V secolo, l’Europa ha permesso alle sue difese di crollare. Mentre il benessere cresceva, la capacità militare diminuiva, insieme alla consapevolezza di sé. Nello stesso tempo, l’Impero aprì le porte agli stranieri, che ambivano alla ricchezza senza voler abbandonare le proprie credenze ancestrali”.
Oggi come allora non tutti gli stranieri sono impermeabili all’assimilazione. Non parliamo degli europei, come i rumeni, ma persino i cinesi, che risaputamente costituiscono un gruppo chiuso, tendono col tempo a integrarsi. Sono sempre più gl’immigrati cinesi che ai loro figli danno nomi italiani. Questo non avviene invece con i musulmani. “Non c’è dubbio”, continua Ferguson, “che la maggior parte dei musulmani in Europa non siano violenti. Ma è altrettanto vero che la maggioranza di loro mantiene un punto di vista sul mondo che non è facilmente riconducibile ai principi delle nostre democrazie liberali, incluse le nostre convinzioni sulla parità di genere e sulla tolleranza”. La loro religione fa loro credere che un giorno essi ci conquisteranno e c’imporranno la loro fede, le loro leggi e i loro costumi. Oggi non va più di moda l’espressione “conflitto di civiltà” ma il discorso sulla tolleranza rimane immutato. Quando i loro estremisti compiono attentati tra noi spesso raccolgono più o meno esplicitamente l’approvazione delle popolazioni musulmane. Al contempo i cristiani che vivono in quelle terre da duemila anni sono ancor più di prima oggetto di discriminazione, quando non proprio di persecuzione, al punto da ridursi a percentuali al di sotto dello zero virgola. I musulmani che agiscono così, cioè la maggioranza, sono gli stessi che giungono da noi, ben intenzionati a partecipare al nostro maggior benessere e altrettanto fermamente decisi a non contaminarsi con la nostra cultura. E allora occorre prudenza e buon senso. Continuiamo ad essere accoglienti, non cediamo all’egoismo, ma facciamolo con intelligenza. Governiamo i flussi perché non si trasformino in un’invasione e pretendiamo da chi desidera vivere in mezzo a noi di accettare le nostre regole, e quanto meno di fondere la loro cultura con la nostra. Sempre che non desideriamo si avveri ancora una volta la profezia dello storico Ferguson che in passato, dobbiamo ammetterlo, ci ha spesso azzeccato.

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