giovedì 17 novembre 2016

L'egemone riluttante


Nell’analisi di questa settimana ascoltiamo Jürgen Habermas, il più autorevole filosofo e sociologo tedesco vivente, nelle critiche che muove al suo Governo riguardo alle politiche europee. Habermas ritiene la Germania di questi anni, ancor più della Francia, il maggiore ostacolo al processo di unificazione europea e causa di disaffezione dei cittadini europei per le istituzioni comunitarie. Egli definisce il proprio Paese un “egemone riluttante”, nel senso che esercita la propria leadership europea con insensibilità e miopia, nel solo proprio interesse immediato piuttosto che nell’interesse comune, attuale e futuro. Tutta acqua al mulino dei populismi euroscettici.



All’indomani del referendum che ha deciso per la Brexit, il ministro degli Esteri tedesco Steinmeier stava per convocare i colleghi dei sei Stati fondatori per riflettere insieme sull’accaduto. Questo gesto del ministro socialdemocratico si sarebbe potuto leggere come il desiderio di voler ricostruire l’Europa su quelle basi politiche di cui era impregnata la sua fondazione. L’iniziativa non piacque alla cancelliera Merkel, proprio per questa valenza che ormai la Germania non persegue più. Giustappunto quella Germania, che dall’Unione ha tratto i maggiori benefici, sta facendo marcia indietro nel sia pur lentissimo percorso di maggiore integrazione politica e istituzionale. Persino il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, considerato il più federalista tra i politici tedeschi, ha ormai abbandonato l’idea di un’Europa a due velocità, la cosiddetta Europa del nucleo (Kerneuropa) che di fatto avrebbe dovuto coincidere con i Paesi dell’unione monetaria. Ebbene adesso Schäuble ha annunciato una svolta che va in tutt’altra direzione, ovvero nel rafforzamento delle relazioni intergovernative. Egli non esclude in futuro un’Europa che avanzi nel suo processo d’integrazione ma ciò che importa adesso è impedire che si rafforzino le istituzioni europee (il Parlamento e la Commissione) per lasciare le mani libere ai governi che si riconosceranno nell’iniziativa. Il che implica un’Europa dove i governi e i parlamenti dei Paesi più forti dominano quelli dei Paesi più deboli o, ancora più esplicitamente, una Germania che domini su tutti, che detti la sua agenda, le sue priorità, le sue ricette di politica economica. Lo sta già facendo in realtà, ma i recenti attriti tra Schäuble e Juncker – il presidente della Commissione europea – rendono ancora più evidente l’insofferenza della Germania per le istituzioni europee che pur recependo le sue “direttive” non le fanno applicare con la dovuta celerità e intransigenza. “Non è il momento giusto per le grandi visioni. La situazione è così grave – afferma  Schäuble – che è necessario smettere di giocare ai soliti giochi dell’Europa e di Bruxelles”. Ormai è chiaro che i tedeschi non accetteranno mai di consegnare a Bruxelles i poteri dell’unione fiscale. L’idealismo di Adenauer e Kohl è acqua passata, l’appetito vien mangiando, e l’idea di Europa che ormai hanno i tedeschi è quella di una grande Germania che annette gli altri Stati che fanno fino in fondo i compiti a casa, che lei stessa ha assegnato. “Una buona ricetta per la disintegrazione”, è il commento di Sergio Fabbrini del Sole 24 Ore.

Jürgen Habermas, l’autorevole filosofo sociale e politologo tedesco, afferma che l’unico tragitto percorribile d’integrazione europea è quello previsto dai federalisti: ovvero una cooperazione approfondita e vincolante decisa dagli Stati motivati a risolvere in modo serio e solidale tutti i problemi man mano che si presentano, a cominciare da quelli sociali ed economici. Il Welfare e la democrazia sono inscindibili dal processo di integrazione europea perché senza di essi è impossibile creare consenso presso la cittadinanza. La costruzione europea invece negli ultimi anni ha trascurato questi due pilastri portanti, e infatti il loro sbriciolarsi sta mandando in rovina l’edificio unitario nel Continente. Habermas attribuisce gran parte di questo disastro proprio alla Germania. Molto più che alla Gran Bretagna e alla Francia. I britannici hanno sempre visto l’Europa comunitaria come area di libero scambio, sono entrati tardi e adesso ne stanno uscendo. Se hanno potuto far danno è perché gli altri glielo hanno consentito. Discorso diverso è per i francesi e i tedeschi che sono i due azionisti di maggioranza dell’Unione. È per impedire che si facessero nuovamente guerra che hanno deciso di avviare questo processo di integrazione. Le motivazioni iniziali erano chiare e potenti quanto evidente era il disastro causato dalla guerra appena conclusa. Inizialmente fu la Francia ad evidenziare un atteggiamento contraddittorio con la sua resistenza a fare rinunce in tema di sovranità, già nel 1954, quando affossò la Comunità europea di difesa. E questa riluttanza non l’ha mai del tutto abbandonata. Le resistenze della Germania risalgono invece a dopo l’unificazione con la DDR e, soprattutto, in concomitanza con la grande crisi economica del 2008. Rapidamente essa è diventata il maggiore ostacolo al processo di unificazione europea e causa di disaffezione dei cittadini europei per le istituzioni comunitarie. Habermas definisce il proprio Paese un “egemone riluttante”, nel senso che esercita la propria leadership europea con insensibilità e miopia, nel solo proprio interesse immediato piuttosto che nell’interesse comune, attuale e futuro. Questo esercizio di miopia ed egoismo scambia leadership (che dovrebbe comportare responsabilità) con proiezione e piena realizzazione delle “proprie idee di ordine”, per dirla con la Frankfurter Allgemeine Zeitung del 29 giugno 2016. Il governo di coalizione presieduto da Angela Merkel dà di se stesso di fronte alla propria opinione pubblica l’immagine di difensore autentico dell’idea di Europa quando invece le sta scavando la fossa. Esso approfitta abbondantemente di questa posizione di dominio per dettare la propria linea e trarne vantaggi; al contempo rifiuta le corrispondenti responsabilità che la leadership internazionale richiede, e questo crea serie difficoltà nei Paesi più fragili. Crea risentimenti. “Come devono sentirsi uno spagnolo, un portoghese o un greco che hanno perso il posto di lavoro in seguito alla politica di risparmio decisa dal Consiglio Europeo?”, fa notare Habermas. Politica imposta proprio dalla Germania, senza al contempo che essa si assuma la co-responsabilità per le conseguenze sociali disastrose che tali politiche producono. Adesso la Germania non potrà neppure nascondersi dietro la foglia di fico delle istituzioni europee, che essa sta esautorando attraverso l’intergovernamentalismo invocato da Schäuble, per prendere in mano direttamente le redini del potere comunitario. Ormai chi comanda davvero è venuto allo scoperto, e non si potrà più raccontare ai cittadini vessati che “lo vuole l’Europa”. Lo vuole la Germania, fautrice di una disastrosa politica “che utilizza e al contempo nega il disturbato equilibrio del potere europeo”, con l’evidente scopo di godere dei vantaggi del dominio senza volersene assumere le responsabilità. L’intergovernamentalista Schäuble afferma che la concertazione diretta tra i governi produce risultati concreti, e porta l’esempio della fruizione dei contenuti digitali senza barriere all’interno dell’Unione o l’attenzione sulla politica dei rifugiati, con la proposta di fondare un diritto d’asilo europeo. Argomenti cioè che, guarda caso, interessano ai tedeschi. Il tema scottante, invece, della drammatica disoccupazione giovanile nei paesi del sud viene da lui semplicemente ignorato. Allora, voler dettare l’agenda con le priorità decise da Berlino non è politica europea, è politica tedesca e questo alla lunga non è sostenibile e già adesso non può che far nascere risentimenti.


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