Nell’analisi di questa settimana ascoltiamo Jürgen Habermas, il più
autorevole filosofo e sociologo tedesco vivente, nelle critiche che
muove al suo Governo riguardo alle politiche europee. Habermas ritiene
la Germania di questi anni, ancor più della Francia, il maggiore
ostacolo al processo di unificazione europea e causa di disaffezione dei
cittadini europei per le istituzioni comunitarie. Egli definisce il
proprio Paese un “egemone riluttante”, nel senso che esercita la propria
leadership europea con insensibilità e miopia, nel solo proprio
interesse immediato piuttosto che nell’interesse comune, attuale e
futuro. Tutta acqua al mulino dei populismi euroscettici.

All’indomani del
referendum che ha deciso per la
Brexit, il ministro degli Esteri tedesco Steinmeier stava per
convocare i colleghi dei sei Stati fondatori per riflettere insieme
sull’accaduto. Questo gesto del ministro socialdemocratico si sarebbe potuto
leggere come il desiderio di voler ricostruire l’Europa su quelle basi
politiche di cui era impregnata la sua fondazione. L’iniziativa non piacque
alla cancelliera Merkel, proprio per questa valenza che ormai la Germania non persegue
più. Giustappunto quella Germania, che dall’Unione ha tratto i maggiori benefici,
sta facendo marcia indietro nel sia pur lentissimo percorso di maggiore
integrazione politica e istituzionale. Persino
il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, considerato il più federalista tra
i politici tedeschi, ha ormai abbandonato l’idea di un’Europa a due velocità,
la cosiddetta Europa del nucleo (Kerneuropa)
che di fatto avrebbe dovuto coincidere con i Paesi dell’unione monetaria.
Ebbene adesso Schäuble ha annunciato una svolta che va in tutt’altra direzione,
ovvero nel rafforzamento delle relazioni intergovernative. Egli non esclude in
futuro un’Europa che avanzi nel suo processo d’integrazione ma ciò che importa
adesso è impedire che si rafforzino le istituzioni europee (il Parlamento e la Commissione) per
lasciare le mani libere ai governi che si riconosceranno nell’iniziativa. Il
che implica un’Europa dove i governi e i parlamenti dei Paesi più forti dominano
quelli dei Paesi più deboli o, ancora più esplicitamente, una Germania che
domini su tutti, che detti la sua agenda, le sue priorità, le sue ricette di
politica economica. Lo sta già facendo in realtà, ma i recenti attriti tra
Schäuble e Juncker – il presidente della Commissione europea – rendono ancora
più evidente l’insofferenza della Germania per le istituzioni europee che pur
recependo le sue “direttive” non le fanno applicare con la dovuta celerità e
intransigenza. “Non è il momento giusto per le grandi visioni. La situazione è
così grave – afferma Schäuble – che è
necessario smettere di giocare ai soliti giochi dell’Europa e di Bruxelles”.
Ormai è chiaro che i tedeschi non accetteranno mai di consegnare a Bruxelles i
poteri dell’unione fiscale. L’idealismo di Adenauer e Kohl è acqua passata,
l’appetito vien mangiando, e l’idea di Europa che ormai hanno i tedeschi è
quella di una grande Germania che annette gli altri Stati che fanno fino in
fondo i compiti a casa, che lei stessa ha assegnato. “Una buona ricetta per la
disintegrazione”, è il commento di Sergio Fabbrini del Sole 24 Ore.
Jürgen Habermas, l’autorevole
filosofo sociale e politologo tedesco, afferma che l’unico tragitto
percorribile d’integrazione europea è quello previsto dai federalisti: ovvero
una cooperazione approfondita e vincolante decisa dagli Stati motivati a
risolvere in modo serio e solidale tutti i problemi man mano che si presentano,
a cominciare da quelli sociali ed economici. Il Welfare e la democrazia sono
inscindibili dal processo di integrazione europea perché senza di essi è
impossibile creare consenso presso la cittadinanza. La costruzione europea
invece negli ultimi anni ha trascurato questi due pilastri portanti, e infatti
il loro sbriciolarsi sta mandando in rovina l’edificio unitario nel Continente.
Habermas attribuisce gran parte di questo disastro proprio alla Germania. Molto
più che alla Gran Bretagna e alla Francia. I britannici hanno sempre visto
l’Europa comunitaria come area di libero scambio, sono entrati tardi e adesso
ne stanno uscendo. Se hanno potuto far danno è perché gli altri glielo hanno
consentito. Discorso diverso è per i francesi e i tedeschi che sono i due azionisti
di maggioranza dell’Unione. È per impedire che si facessero nuovamente guerra che
hanno deciso di avviare questo processo di integrazione. Le motivazioni
iniziali erano chiare e potenti quanto evidente era il disastro causato dalla
guerra appena conclusa. Inizialmente fu la Francia ad evidenziare un atteggiamento
contraddittorio con la sua resistenza a fare rinunce in tema di sovranità, già
nel 1954, quando affossò la
Comunità europea di difesa. E questa riluttanza non l’ha mai
del tutto abbandonata. Le resistenze della Germania risalgono invece a dopo
l’unificazione con la DDR
e, soprattutto, in concomitanza con la grande crisi economica del 2008. Rapidamente
essa è diventata il maggiore ostacolo al processo di unificazione europea e
causa di disaffezione dei cittadini europei per le istituzioni comunitarie. Habermas
definisce il proprio Paese un “egemone riluttante”, nel senso che esercita la
propria leadership europea con insensibilità e miopia, nel solo proprio
interesse immediato piuttosto che nell’interesse comune, attuale e futuro. Questo
esercizio di miopia ed egoismo scambia leadership (che dovrebbe comportare
responsabilità) con proiezione e piena realizzazione delle “proprie idee di
ordine”, per dirla con la Frankfurter Allgemeine Zeitung del 29 giugno 2016. Il
governo di coalizione presieduto da Angela Merkel dà di se stesso di fronte
alla propria opinione pubblica l’immagine di difensore autentico dell’idea di
Europa quando invece le sta scavando la fossa. Esso approfitta abbondantemente
di questa posizione di dominio per dettare la propria linea e trarne vantaggi; al
contempo rifiuta le corrispondenti responsabilità che la leadership
internazionale richiede, e questo crea serie difficoltà nei Paesi più fragili.
Crea risentimenti. “Come devono sentirsi uno spagnolo, un portoghese o un greco
che hanno perso il posto di lavoro in seguito alla politica di risparmio decisa
dal Consiglio Europeo?”, fa notare Habermas. Politica imposta proprio dalla
Germania, senza al contempo che essa si assuma la co-responsabilità per le
conseguenze sociali disastrose che tali politiche producono. Adesso la Germania non potrà
neppure nascondersi dietro la foglia di fico delle istituzioni europee, che
essa sta esautorando attraverso l’intergovernamentalismo invocato da Schäuble,
per prendere in mano direttamente le redini del potere comunitario. Ormai chi
comanda davvero è venuto allo scoperto, e non si potrà più raccontare ai
cittadini vessati che “lo vuole l’Europa”. Lo vuole la Germania, fautrice di una
disastrosa politica “che utilizza e al contempo nega il disturbato equilibrio
del potere europeo”, con l’evidente scopo di godere dei vantaggi del dominio
senza volersene assumere le responsabilità. L’intergovernamentalista Schäuble
afferma che la concertazione diretta tra i governi produce risultati concreti,
e porta l’esempio della fruizione dei contenuti digitali senza barriere
all’interno dell’Unione o l’attenzione sulla politica dei rifugiati, con la proposta
di fondare un diritto d’asilo europeo. Argomenti cioè che, guarda caso, interessano
ai tedeschi. Il tema scottante, invece, della drammatica disoccupazione
giovanile nei paesi del sud viene da lui semplicemente ignorato. Allora, voler
dettare l’agenda con le priorità decise da Berlino non è politica europea, è
politica tedesca e questo alla lunga non è sostenibile e già adesso non può che
far nascere risentimenti.
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