giovedì 6 ottobre 2016

La linea di frattura religiosa nell’eurozona


Attingendo dai contenuti del libro “IMPERO!”, questa settimana parleremo della frattura culturale esistente tra gli europei del nord e quelli del sud, alla cui base ci sarebbe addirittura la religione. La BBC inglese ha parlato esplicitamente di “una linea di frattura religiosa nell’eurozona”. Importanti firme del nostro giornalismo ci hanno informato del dibattito sorto tra i popoli di cultura germanica. I titoli sono già eloquenti in sé. Camillo Langone intitola un suo articolo: “Angela, la luterana che vuol purificare gli straccioni latini”. Massimo Franco, dalle pagine del Corriere, gli fa eco con il suo: “Eurozona: Una nuova guerra di religione”.




Ricordate l’acronimo P.I.G.S. che stava per Portogallo, Italia, Grecia e Spagna? Ma che in inglese si legge “maiali”. La stampa nord-europea ha giocato sull’ambiguità di questo termine per sottolineare la situazione economica non virtuosa di questi paesi. Con porcine economy (economia suina) si è intesa un’economia, tipica dei paesi euro-mediterranei, caratterizzata da una precaria condizione dei conti pubblici e da una scarsa competitività dell’economia nazionale che rendono assai difficoltoso il ripianamento del debito pubblico. Portogallo, Spagna, Italia e Grecia sarebbero pertanto i porci d’Europa. Eppure questo porcile economico, grazie alla tanto auspicata unione politica che arrecherà i trasferimenti del sistema fiscale federalista, e grazie alla dolcezza del clima e dei suoi paesaggi che attirerà i vacanzieri centro-europei, assumerà il volto delle “Vacation Lands” d’Europa: terre dove quei ricchi turisti acquisteranno la seconda casa per le vacanze, serviti e riveriti dagli aborigeni, grati per l’opportunità di poter far loro da camerieri, cuochi e giardinieri. Questo almeno secondo le
Niall Ferguson
previsioni dello storico Niall Ferguson di cui abbiamo detto la scorsa volta. Ma sarebbe poi vero che tale condizione di camerieri con il grugno darebbe grande soddisfazione a italiani e spagnoli solo perché riuscirebbero a sopravvivere economicamente conservando anche molti spazi per i loro imprescindibili ozi? Intervistato da Repubblica, Ferguson ammise che tale soddisfazione sarebbe stato un modo per accettare con filosofia un dato di fatto derivante dai propri limiti. Nello scenario da lui prefigurato, infatti, l’unione politica avverrà dopo una fuga generalizzata dall’Europa. Chi potrà se ne andrà. Gran Bretagna e Irlanda torneranno alla loro unione originaria e gli Stati scandinavi formeranno una lega per conto loro. Chi resterà celebrerà un matrimonio di sola convenienza perché l’euro sarà un legame difficilmente dissolubile. Sarebbe arduo tornare alle vecchie monete nazionali, a cominciare dai paesi economicamente più forti come Germania e Francia. Ma anche quelli dell’Europa meridionale chiederebbero di restare nell’euro (e in quest’Unione rafforzata) a qualunque condizione, perché l’alternativa per loro non esiste o sarebbe comunque peggiore.
Ma se da un lato – affermava Ferguson – la crisi dell’euro costringerà a maggiori vincoli di tipo politico, dall’altro ha fatto emergere con più chiarezza le diversità e le divisioni che sono sempre esistite all’interno della UE, di cui i comportamenti economici sono solo il sintomo di atteggiamenti culturali assai eterogenei. Incalzato dall’intervistatore sul ruolo dell’Italia, se davvero ritenesse che si sarebbe limitato a quello di “villaggio vacanze” dell’Europa, Ferguson rispose che per giocare un ruolo più importante essa dovrebbe risolvere problemi strutturali enormi, che servirebbe uno sforzo collettivo e colossale per cambiare molte cose. E “dov’è, secondo lei, la radice dei problemi italiani?”, continuò l’intervistatore. Risposta: “Ce n’è più d’una, ma una è che non sia stata coinvolta, perlomeno nelle regioni del nord, dalla riforma del protestantesimo, che avrebbe dato differenti valori etici alla nazione: Milano, con una dose di calvinismo, sarebbe potuta diventare una grande capitale europea”.


Camillo Langone
Quest’ultima risposta di Ferguson può sembrare eccentrica o riduttiva, ma chi ha seguito il dibattito sulla crisi economica del Continente così come l’hanno letta e interpretata gli analisti del centro e del nord Europa, sa che invece questo è considerato un argomento centrale. Persino il primo in ordine dì importanza riferendosi ai paesi mediterranei. Ed anche i maggiori quotidiani italiani ne hanno raccolto l’eco. Talvolta con tono ironico, come fece Camillo Langone sulle pagine di Libero in un gustoso articolo dal titolo: “Angela, la luterana che vuol purificare gli straccioni latini”. L’atteggiamento della Merkel nei confronti dell’Italia e delle altre nazioni euro-mediterranee affonda le sue radici nella religione e non, come si pensa, nell’economia. Spiegava il giornalista. Da un lato ci sono i luterani con il senso del bene comune e della responsabilità individuale e dall’altro i cattolici con un forte individualismo e (per dirla con don Milani) con la “congenita propensione a evadere ogni responsabilità individuale”. Anche i nomi delle terapie finanziarie somministrate ai latini tradiscono questa matrice religiosa, com’è il caso dell’European Redemption Pact, in teoria uno strumento finanziario dal nome inglese, nei fatti uno strumento di tortura di matrice teutonica, un programma di espiazione, per chi tende a non pagare il proprio debito (peraltro in tedesco sinonimo della parola “colpa”). Così i latini vedono nei tedeschi dei boriosi torturatori, e i tedeschi considerano i latini come disonesti profittatori. Come si può pretendere con tali premesse di procedere verso l’unione? L’unione di cosa?


Massimo Franco
Privo d’ironie è invece l’articolo di Massimo Franco apparso alcuni mesi più tardi sul Corriere della Sera. Titolo: “Eurozona: Una nuova guerra di religione”. Anche Franco poneva l’accento sul termine tedesco “Schuld” che significa al contempo debito e colpa. Le lingue neolatine hanno perso questa coincidenza di significati che (diciamo noi) invece è presente nel Vangelo. Ad esempio nel Padrenostro la richiesta di perdono viene tradotta indifferentemente con “rimettici i nostri debiti” o “rimettici le nostre colpe”. Alla base di questa perdita ci sarebbe la dottrina e la prassi cattolica delle indulgenze per il perdono dei peccati che dalla religione si sarebbe riverberata sullo stile di vita dei fedeli, e che di fatto si tradurrebbe in un’eccessiva tolleranza in materia di “peccati fiscali”. Il fatto è che persino i cattolici tedeschi, per ragioni storiche, hanno mantenuto uno spirito critico nei confronti della cultura latina delle indulgenze. Franco citava a proposito l’amarezza di papa (allora non ancora emerito) Benedetto XVI per l’ostilità della sua Baviera cattolica contro l’Italia. E citava l’opinione di Stephan Richter, direttore del Globalist, commentatore cattolico ma soprattutto tedesco, il quale teorizza che “un eccesso di cattolicesimo danneggia la salute fiscale delle nazioni, anche adesso nel XXI secolo”. La tesi di Stephan Richter è quella che se il riformatore Lutero fosse stato presente a Maastricht nel 1992, quando furono gettate le basi dell’unione monetaria, avrebbe bocciato l’adesione delle nazioni del Mediterraneo. “Nessun Paese cattolico che non ha vissuto la Riforma protestante deve entrare nell’euro”, egli s’immagina che avrebbe detto il Riformatore. Sarebbe questa la “legge di Lutero” che oggi il Nord Europa si rammarica non sia stata applicata; e la cui violazione sarebbe alla base di molti guai. Se invece le sue parole immaginarie fossero state interpretate a dovere, “l’euro sarebbe più compatto, e l’economia europea meno in difficoltà”. “Insomma – prosegue Massimo Franco – per analizzare l’idoneità di una nazione a far parte della moneta unica sarebbe bastato non passare al setaccio i suoi bilanci ma i suoi cromosomi religiosi: sarebbe stato tutto più facile”. Non è un caso se i disastrati PIGS sono quasi tutti Paesi di cultura cattolica, fa eccezione la Grecia che è ortodossa, ma si sa che l’affinità tra ortodossia e cattolicesimo è molto stretta. Finché era in corso la guerra fredda, l’asse Nord-Sud europeo prevaleva sulle altre disomogeneità. Oggi esse riemergono. La Bbc inglese ha parlato di “una linea di frattura religiosa nell’eurozona”, e sulla scia della crisi dei mercati finanziari, viene evocato il conflitto tra cattolici e luterani; l’asse europeo si torce da Sud a Est. E così oggi si dice che la Finlandia protestante è nel cuore dell’UE, mentre l’Italia (peraltro Paese fondatore) sarebbe in periferia. Le intese tra Francia, Spagna e Italia vengono vissute con sospetto e definite la “nuova alleanza latina”. Il timore è – conclude Massimo Franco – che sbandierati primati geoeconomici e georeligiosi minaccino di risvegliare i demoni degli anni più bui della Storia europea e iniettino veleni antichi nelle fibre stanche dell’Unione.


Richard Swartz
Richard Swartz, un giornalista svedese che vive da molti anni a Vienna, ha scritto parecchio sull’argomento ed è istruttivo ascoltarlo, perché egli assiste agli eventi da una posizione privilegiata e ci racconta direttamente e senza mediazioni la sua visuale che è quella del nord-europeo. In molti hanno invano tentato di unificare l’Europa – esordisce Swartz – da Attila a Hitler con in mezzo Carlo Magno, Carlo V d’Asburgo e Napoleone. Tutti vi hanno sbattuto il naso contro. L’ultimo tentativo è quello dell’Unione Europea, diverso dai precedenti perché ha utilizzato mezzi inoffensivi, come la comune volontà, le istituzioni comunitarie, leggi e regolamentazioni. Ma non va dimenticato che anche questo progetto nasce da violenze inaudite quali furono le due guerre mondiali (d’origine europea) e dall’auspicio che quelle esperienze non si ripetessero mai più, da un’emergenza, cioè, ormai avvertita come lontana. Sin dall’inizio l’accento è stato posto sull’economia, ma nella sostanza il progetto unificante era soprattutto politico. L’economia doveva essere uno strumento per produrre convergenze in altri ambiti, allo scopo di creare un insieme che assomigliasse agli Stati Uniti d’Europa. Con la crisi della politica e dello stato-nazione, è rimasta solo l’economia e il mezzo s’è fatto scopo. Il cambio di paradigma sul momento s’è poco avvertito in quanto la cooperazione economica era l’aspetto più esplicito della macchina comunitaria e l’indirizzo politico del progetto lavorava, per così dire, in background. La crisi dell’euro ha portato allo scoperto i limiti di questa cooperazione ormai solo economica che sono di ordine storico e culturale, in una regione modesta geograficamente ma al contempo la più complessa al mondo. “In uno spazio tutto sommato ristretto, 300 milioni di persone devono cercare di dar vita a un’unione, quando di fatto non occorre allontanarsi neanche troppo prima di non essere più in grado di capire ciò che dicono gli altri, di trovare chi mangia o beve cose di cui non abbiamo neanche una vaga idea, chi canta canzoni a noi sconosciute, chi celebra altri eroi, chi ha un rapporto completamente diverso con il tempo, ma anche sogni e demoni differenti.” Queste differenze ci sono sempre state, però vengono occultate dalla narrazione unionista con la sua ideologia, la sua propaganda e i suoi riti: la bandiera, Beethoven, Eurovision, e così via. In questa costruzione ottimistica tutti gli europei appaiono per natura uniti di fronte al resto del mondo, “mentre uno svedese ha indubbiamente più cose in comune con un canadese o con un neozelandese che con un ucraino o un greco. Se la storia d’Europa è costellata di ostilità e di atti di violenza, a iniziare dalle due guerre più spaventose che l’umanità abbia mai conosciuto… è probabile che dipenda proprio dalle nostre differenze culturali – e non da quelle politiche o economiche.” La crisi che stiamo vivendo rende evidente il divario che separa le chiacchiere buoniste dalla cruda realtà che ci circonda. “Con nostro grande stupore – afferma Swartz – la crisi ci ha fatto scoprire persone che non avevano mai pagato le tasse, che pensavano che fossero gli altri a dover saldare i loro debiti e che accusavano di dispotismo chi tendeva loro la mano. Ignoravamo l’esistenza di questi europei e non volevamo credere che esistessero.” Stesso discorso vale per il clientelismo che è fenomeno tutto mediterraneo. Bisogna prendere atto che gli europei sono molto diversi tra loro e la cooperazione economica non basta a creare il senso di una comune cittadinanza. Mangiare la pizza nel nord della Svezia e il salmone in Sicilia non bastano a dare agli svedesi o ai siciliani una vera identità europea. Il fatto poi che queste differenze non possano essere discusse, poiché sottoporle al filtro dell’analisi sarebbe politically incorrect, rischia di non farci uscire ed anzi di rafforzare i nostri storici pregiudizi. Così sui tabloid appaiono articoli dove gli italiani e gli spagnoli sono descritti come indolenti e poco affidabili e i greci sono furbi e ladri. Di contro tutti i tedeschi sono nazisti e criminali di guerra. E i pregiudizi tra i popoli non creano assonanze ma antagonismi, chiusure, demarcazioni che circoscrivono i particolarismi culturali, storici e mentali.


Maurizio Ferraris
Ferguson condivide con Swartz questa visione prospettica dei nord-europei che distingue il settentrione dal mezzogiorno d’Europa, storicamente separati da “una linea di frattura religiosa”. Al contempo, però, disegna uno scenario futuro dove l’unione tra latini e germanici addirittura si fa anche politica. È mai attendibile questa previsione? E lui ci crede davvero? Egli lo definisce “un divertissment, un pezzo satirico”, poi subito dopo però aggiunge che “la satira contiene anche una buona misura di verità”. L’ideale è sposarsi per amore, ma spesso lo si fa per convenienza. Persino per disperazione. Il filosofo torinese Maurizio Ferraris, teorico del New Realism, non vede alternativa. Egli auspica che i singoli Stati europei cedano gradualmente la propria sovranità per uniformarsi sotto un impero a guida germanica. “Mussolini, alle prese con gerarchi che rubavano e soldati che scappavano, aveva giustamente osservato che governare gli italiani è inutile”. Partendo da questa constatazione, dal fatto che gli italiani per ragioni storiche sono privi di senso dello Stato, che per il loro esasperato individualismo riescono a raggiungere l’eccellenza solo come imprenditori del crimine organizzato, insomma corrotti come sono, possono solo sperare che li governino gli stranieri. E che non siano altri latini, perché non sono in fondo così diversi. L’ideale sono proprio i tedeschi, ligi al senso dello Stato e che hanno prodotto statisti del calibro di Adenauer, Brandt, Schmidt, o persino la Merkel. È una visione analoga a quella di Ferguson, che prevede la risurrezione del Sacro romano impero a guida germanica (anche se chiamato Stati Uniti d’Europa) con capitale Vienna (al posto di Bruxelles) e presieduto da Carlo d’Asburgo, discendente della dinastia imperiale austriaca. Di fatto però guidato e quasi dominato dalla Germania.

La domanda di fondo, però, resta ancora senza risposta: persino ammettendo che per i latini qualunque condizione alternativa all’euro sarebbe comunque peggiore, rimane il fatto che la loro adesione ad una tale entità politica a guida tedesca sarebbe comunque viziata da un rapporto di disistima e di sospetto. Sarebbe una sorta di relazione sado-maso dove la parte maso toccherebbe agli inaffidabili europei di cultura cattolica. I PIGS si vedrebbero in qualche modo sorvegliati per contrastare la loro irriducibile tendenza a cedere all’evasione, alla corruzione, al clientelismo. Ma gli stessi partner centro-europei (che peraltro dalla moneta unica stanno traendo grossi vantaggi) si chiederebbero perché stringere una relazione così rischiosa e spossante con vicini di casa tanto diversi per ragioni culturali, storiche e mentali. Davvero non c’è alternativa al ritorno dell’Impero asburgico? Oltre al fatto che oggi questa non appare la tendenza verso cui si è diretti (ne parleremo nella prossima riflessione), esistono altre ipotesi che vanno comunque nel verso di un’ulteriore integrazione tra gli stati.

Nessun commento:

Posta un commento