Attingendo dai contenuti del libro “IMPERO!”, questa settimana parleremo della frattura culturale esistente tra gli europei del nord e quelli del sud, alla cui base ci sarebbe addirittura la religione. La BBC inglese ha parlato esplicitamente di “una linea di frattura religiosa nell’eurozona”. Importanti firme del nostro giornalismo ci hanno informato del dibattito sorto tra i popoli di cultura germanica. I titoli sono già eloquenti in sé. Camillo Langone intitola un suo articolo: “Angela, la luterana che vuol purificare gli straccioni latini”. Massimo Franco, dalle pagine del Corriere, gli fa eco con il suo: “Eurozona: Una nuova guerra di religione”.
Ricordate
l’acronimo P.I.G.S. che stava per Portogallo, Italia, Grecia e Spagna?
Ma che in inglese si legge “maiali”. La stampa nord-europea ha giocato
sull’ambiguità di questo termine per sottolineare la situazione
economica non virtuosa di questi paesi. Con
(economia
suina) si è intesa un’economia, tipica dei paesi euro-mediterranei,
caratterizzata da una precaria condizione dei conti pubblici e da una
scarsa competitività dell’economia nazionale che rendono assai
difficoltoso il ripianamento del debito pubblico. Portogallo, Spagna,
Italia e Grecia sarebbero pertanto i porci d’Europa. Eppure questo
porcile economico, grazie alla tanto auspicata unione politica che
arrecherà i trasferimenti del sistema fiscale federalista, e grazie alla
dolcezza del clima e dei suoi paesaggi che attirerà i vacanzieri
centro-europei, assumerà il volto delle “Vacation Lands” d’Europa: terre
dove quei ricchi turisti acquisteranno la seconda casa per le vacanze,
serviti e riveriti dagli aborigeni, grati per l’opportunità di poter far
loro da camerieri, cuochi e giardinieri. Questo almeno secondo le
 |
| Niall Ferguson |
previsioni dello storico Niall Ferguson di cui abbiamo detto la scorsa
volta. Ma sarebbe poi vero che tale condizione di camerieri con il
grugno darebbe grande soddisfazione a italiani e spagnoli solo perché
riuscirebbero a sopravvivere economicamente conservando anche molti
spazi per i loro imprescindibili ozi? Intervistato da Repubblica,
Ferguson ammise che tale soddisfazione sarebbe stato un modo per
accettare con filosofia un dato di fatto derivante dai propri limiti.
Nello scenario da lui prefigurato, infatti, l’unione politica avverrà
dopo una fuga generalizzata dall’Europa. Chi potrà se ne andrà. Gran
Bretagna e Irlanda torneranno alla loro unione originaria e gli Stati
scandinavi formeranno una lega per conto loro. Chi resterà celebrerà un
matrimonio di sola convenienza perché l’euro sarà un legame
difficilmente dissolubile. Sarebbe arduo tornare alle vecchie monete
nazionali, a cominciare dai paesi economicamente più forti come Germania
e Francia. Ma anche quelli dell’Europa meridionale chiederebbero di
restare nell’euro (e in quest’Unione rafforzata) a qualunque condizione,
perché l’alternativa per loro non esiste o sarebbe comunque peggiore.
Ma se da un lato – affermava Ferguson – la crisi dell’euro costringerà a
maggiori vincoli di tipo politico, dall’altro ha fatto emergere con più
chiarezza le diversità e le divisioni che sono sempre esistite
all’interno della UE, di cui i comportamenti economici sono solo il
sintomo di atteggiamenti culturali assai eterogenei. Incalzato
dall’intervistatore sul ruolo dell’Italia, se davvero ritenesse che si
sarebbe limitato a quello di “villaggio vacanze” dell’Europa, Ferguson
rispose che per giocare un ruolo più importante essa dovrebbe risolvere
problemi strutturali enormi, che servirebbe uno sforzo collettivo e
colossale per cambiare molte cose. E “dov’è, secondo lei, la radice dei
problemi italiani?”, continuò l’intervistatore. Risposta: “Ce n’è più
d’una, ma una è che non sia stata coinvolta, perlomeno nelle regioni del
nord, dalla riforma del protestantesimo, che avrebbe dato differenti
valori etici alla nazione: Milano, con una dose di calvinismo, sarebbe
potuta diventare una grande capitale europea”.
 |
| Camillo Langone |
Quest’ultima
risposta di Ferguson può sembrare eccentrica o riduttiva, ma chi ha
seguito il dibattito sulla crisi economica del Continente così come
l’hanno letta e interpretata gli analisti del centro e del nord Europa,
sa che invece questo è considerato un argomento centrale. Persino il
primo in ordine dì importanza riferendosi ai paesi mediterranei. Ed
anche i maggiori quotidiani italiani ne hanno raccolto l’eco. Talvolta
con tono ironico, come fece Camillo Langone sulle pagine di Libero in un
gustoso articolo dal titolo: “Angela, la luterana che vuol purificare
gli straccioni latini”. L’atteggiamento della Merkel nei confronti
dell’Italia e delle altre nazioni euro-mediterranee affonda le sue
radici nella religione e non, come si pensa, nell’economia. Spiegava il
giornalista. Da un lato ci sono i luterani con il senso del bene comune e
della responsabilità individuale e dall’altro i cattolici con un forte
individualismo e (per dirla con don Milani) con la “congenita
propensione a evadere ogni responsabilità individuale”. Anche i nomi
delle terapie finanziarie somministrate ai latini tradiscono questa
matrice religiosa, com’è il caso dell’
European Redemption Pact, in
teoria uno strumento finanziario dal nome inglese, nei fatti uno
strumento di tortura di matrice teutonica, un programma di espiazione,
per chi tende a non pagare il proprio debito (peraltro in tedesco
sinonimo della parola “colpa”). Così i latini vedono nei tedeschi dei
boriosi torturatori, e i tedeschi considerano i latini come disonesti
profittatori. Come si può pretendere con tali premesse di procedere
verso l’unione? L’unione di cosa?
 |
| Massimo Franco |
Privo d’ironie è invece
l’articolo di Massimo Franco apparso alcuni mesi più tardi sul Corriere
della Sera. Titolo: “Eurozona: Una nuova guerra di religione”. Anche
Franco poneva l’accento sul termine tedesco “Schuld” che significa al
contempo debito e colpa. Le lingue neolatine hanno perso questa
coincidenza di significati che (diciamo noi) invece è presente nel
Vangelo. Ad esempio nel Padrenostro la richiesta di perdono viene
tradotta indifferentemente con “rimettici i nostri debiti” o “rimettici
le nostre colpe”. Alla base di questa perdita ci sarebbe la dottrina e
la prassi cattolica delle indulgenze per il perdono dei peccati che
dalla religione si sarebbe riverberata sullo stile di vita dei fedeli, e
che di fatto si tradurrebbe in un’eccessiva tolleranza in materia di
“peccati fiscali”. Il fatto è che persino i cattolici tedeschi, per
ragioni storiche, hanno mantenuto uno spirito critico nei confronti
della cultura latina delle indulgenze. Franco citava a proposito
l’amarezza di papa (allora non ancora emerito) Benedetto XVI per
l’ostilità della sua Baviera cattolica contro l’Italia. E citava
l’opinione di Stephan Richter, direttore del Globalist, commentatore
cattolico ma soprattutto tedesco, il quale teorizza che “un eccesso di
cattolicesimo danneggia la salute fiscale delle nazioni, anche adesso
nel XXI secolo”. La tesi di Stephan Richter è quella che se il
riformatore Lutero fosse stato presente a Maastricht nel 1992, quando
furono gettate le basi dell’unione monetaria, avrebbe bocciato
l’adesione delle nazioni del Mediterraneo. “Nessun Paese cattolico che
non ha vissuto la Riforma protestante deve entrare nell’euro”, egli
s’immagina che avrebbe detto il Riformatore. Sarebbe questa la “legge di
Lutero” che oggi il Nord Europa si rammarica non sia stata applicata; e
la cui violazione sarebbe alla base di molti guai. Se invece le sue
parole immaginarie fossero state interpretate a dovere, “l’euro sarebbe
più compatto, e l’economia europea meno in difficoltà”. “Insomma –
prosegue Massimo Franco – per analizzare l’idoneità di una nazione a far
parte della moneta unica sarebbe bastato non passare al setaccio i suoi
bilanci ma i suoi cromosomi religiosi: sarebbe stato tutto più facile”.
Non è un caso se i disastrati PIGS sono quasi tutti Paesi di cultura
cattolica, fa eccezione la Grecia che è ortodossa, ma si sa che
l’affinità tra ortodossia e cattolicesimo è molto stretta. Finché era in
corso la guerra fredda, l’asse Nord-Sud europeo prevaleva sulle altre
disomogeneità. Oggi esse riemergono. La Bbc inglese ha parlato di “una
linea di frattura religiosa nell’eurozona”, e sulla scia della crisi dei
mercati finanziari, viene evocato il conflitto tra cattolici e
luterani; l’asse europeo si torce da Sud a Est. E così oggi si dice che
la Finlandia protestante è nel cuore dell’UE, mentre l’Italia (peraltro
Paese fondatore) sarebbe in periferia. Le intese tra Francia, Spagna e
Italia vengono vissute con sospetto e definite la “nuova alleanza
latina”. Il timore è – conclude Massimo Franco – che sbandierati primati
geoeconomici e georeligiosi minaccino di risvegliare i demoni degli
anni più bui della Storia europea e iniettino veleni antichi nelle fibre
stanche dell’Unione.
 |
| Richard Swartz |
Richard Swartz, un giornalista svedese che
vive da molti anni a Vienna, ha scritto parecchio sull’argomento ed è
istruttivo ascoltarlo, perché egli assiste agli eventi da una posizione
privilegiata e ci racconta direttamente e senza mediazioni la sua
visuale che è quella del nord-europeo. In molti hanno invano tentato di
unificare l’Europa – esordisce Swartz – da Attila a Hitler con in mezzo
Carlo Magno, Carlo V d’Asburgo e Napoleone. Tutti vi hanno sbattuto il
naso contro. L’ultimo tentativo è quello dell’Unione Europea, diverso
dai precedenti perché ha utilizzato mezzi inoffensivi, come la comune
volontà, le istituzioni comunitarie, leggi e regolamentazioni. Ma non va
dimenticato che anche questo progetto nasce da violenze inaudite quali
furono le due guerre mondiali (d’origine europea) e dall’auspicio che
quelle esperienze non si ripetessero mai più, da un’emergenza, cioè,
ormai avvertita come lontana. Sin dall’inizio l’accento è stato posto
sull’economia, ma nella sostanza il progetto unificante era soprattutto
politico. L’economia doveva essere uno strumento per produrre
convergenze in altri ambiti, allo scopo di creare un insieme che
assomigliasse agli Stati Uniti d’Europa. Con la crisi della politica e
dello stato-nazione, è rimasta solo l’economia e il mezzo s’è fatto
scopo. Il cambio di paradigma sul momento s’è poco avvertito in quanto
la cooperazione economica era l’aspetto più esplicito della macchina
comunitaria e l’indirizzo politico del progetto lavorava, per così dire,
in background. La crisi dell’euro ha portato allo scoperto i limiti di
questa cooperazione ormai solo economica che sono di ordine storico e
culturale, in una regione modesta geograficamente ma al contempo la più
complessa al mondo. “In uno spazio tutto sommato ristretto, 300 milioni
di persone devono cercare di dar vita a un’unione, quando di fatto non
occorre allontanarsi neanche troppo prima di non essere più in grado di
capire ciò che dicono gli altri, di trovare chi mangia o beve cose di
cui non abbiamo neanche una vaga idea, chi canta canzoni a noi
sconosciute, chi celebra altri eroi, chi ha un rapporto completamente
diverso con il tempo, ma anche sogni e demoni differenti.” Queste
differenze ci sono sempre state, però vengono occultate dalla narrazione
unionista con la sua ideologia, la sua propaganda e i suoi riti: la
bandiera, Beethoven, Eurovision, e così via. In questa costruzione
ottimistica tutti gli europei appaiono per natura uniti di fronte al
resto del mondo, “mentre uno svedese ha indubbiamente più cose in comune
con un canadese o con un neozelandese che con un ucraino o un greco. Se
la storia d’Europa è costellata di ostilità e di atti di violenza, a
iniziare dalle due guerre più spaventose che l’umanità abbia mai
conosciuto… è probabile che dipenda proprio dalle nostre differenze
culturali – e non da quelle politiche o economiche.” La crisi che stiamo
vivendo rende evidente il divario che separa le chiacchiere buoniste
dalla cruda realtà che ci circonda. “Con nostro grande stupore – afferma
Swartz – la crisi ci ha fatto scoprire persone che non avevano mai
pagato le tasse, che pensavano che fossero gli altri a dover saldare i
loro debiti e che accusavano di dispotismo chi tendeva loro la mano.
Ignoravamo l’esistenza di questi europei e non volevamo credere che
esistessero.” Stesso discorso vale per il clientelismo che è fenomeno
tutto mediterraneo. Bisogna prendere atto che gli europei sono molto
diversi tra loro e la cooperazione economica non basta a creare il senso
di una comune cittadinanza. Mangiare la pizza nel nord della Svezia e
il salmone in Sicilia non bastano a dare agli svedesi o ai siciliani una
vera identità europea. Il fatto poi che queste differenze non possano
essere discusse, poiché sottoporle al filtro dell’analisi sarebbe
politically incorrect, rischia di non farci uscire ed anzi di rafforzare
i nostri storici pregiudizi. Così sui tabloid appaiono articoli dove
gli italiani e gli spagnoli sono descritti come indolenti e poco
affidabili e i greci sono furbi e ladri. Di contro tutti i tedeschi sono
nazisti e criminali di guerra. E i pregiudizi tra i popoli non creano
assonanze ma antagonismi, chiusure, demarcazioni che circoscrivono i
particolarismi culturali, storici e mentali.
 |
| Maurizio Ferraris |
Ferguson condivide
con Swartz questa visione prospettica dei nord-europei che distingue il
settentrione dal mezzogiorno d’Europa, storicamente separati da “una
linea di frattura religiosa”. Al contempo, però, disegna uno scenario
futuro dove l’unione tra latini e germanici addirittura si fa anche
politica. È mai attendibile questa previsione? E lui ci crede davvero?
Egli lo definisce “un divertissment, un pezzo satirico”, poi subito dopo
però aggiunge che “la satira contiene anche una buona misura di
verità”. L’ideale è sposarsi per amore, ma spesso lo si fa per
convenienza. Persino per disperazione. Il filosofo torinese Maurizio
Ferraris, teorico del
New Realism, non vede alternativa. Egli auspica
che i singoli Stati europei cedano gradualmente la propria sovranità per
uniformarsi sotto un impero a guida germanica. “Mussolini, alle prese
con gerarchi che rubavano e soldati che scappavano, aveva giustamente
osservato che governare gli italiani è inutile”. Partendo da questa
constatazione, dal fatto che gli italiani per ragioni storiche sono
privi di senso dello Stato, che per il loro esasperato individualismo
riescono a raggiungere l’eccellenza solo come imprenditori del crimine
organizzato, insomma corrotti come sono, possono solo sperare che li
governino gli stranieri. E che non siano altri latini, perché non sono
in fondo così diversi. L’ideale sono proprio i tedeschi, ligi al senso
dello Stato e che hanno prodotto statisti del calibro di Adenauer,
Brandt, Schmidt, o persino la Merkel. È una visione analoga a quella di
Ferguson, che prevede la risurrezione del Sacro romano impero a guida
germanica (anche se chiamato Stati Uniti d’Europa) con capitale Vienna
(al posto di Bruxelles) e presieduto da Carlo d’Asburgo, discendente
della dinastia imperiale austriaca. Di fatto però guidato e quasi
dominato dalla Germania.
La domanda di fondo, però, resta ancora
senza risposta: persino ammettendo che per i latini qualunque condizione
alternativa all’euro sarebbe comunque peggiore, rimane il fatto che la
loro adesione ad una tale entità politica a guida tedesca sarebbe
comunque viziata da un rapporto di disistima e di sospetto. Sarebbe una
sorta di relazione sado-maso dove la parte maso toccherebbe agli
inaffidabili europei di cultura cattolica. I PIGS si vedrebbero in
qualche modo sorvegliati per contrastare la loro irriducibile tendenza a
cedere all’evasione, alla corruzione, al clientelismo. Ma gli stessi
partner centro-europei (che peraltro dalla moneta unica stanno traendo
grossi vantaggi) si chiederebbero perché stringere una relazione così
rischiosa e spossante con vicini di casa tanto diversi per ragioni
culturali, storiche e mentali. Davvero non c’è alternativa al ritorno
dell’Impero asburgico? Oltre al fatto che oggi questa non appare la
tendenza verso cui si è diretti (ne parleremo nella prossima
riflessione), esistono altre ipotesi che vanno comunque nel verso di
un’ulteriore integrazione tra gli stati.

Nessun commento:
Posta un commento